giovedì, Aprile 25, 2024
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Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio.

Corte cost. 149/2022 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 649 c.p.p. nella parte in cui non vieta l’inizio o la prosecuzione di un procedimento penale a carico di chi sia già stato sanzionato in via amministrativa per la medesima violazione.

La Corte ha preso le mosse dal diritto al ne bis in idem, il quale trova esplicito riconoscimento, a livello internazionale, nell’art. 4, paragrafo 1, Prot. n. 7 CEDU, dove si prevede che «nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato».

La garanzia convenzionale in parola mira “a tutelare l’imputato non solo contro la prospettiva dell’inflizione di una seconda pena, ma ancor prima contro la prospettiva di subire un secondo processo per il medesimo fatto: e ciò a prescindere dall’esito del primo processo, che potrebbe anche essersi concluso con un’assoluzione”.

La ratio della garanzia risiede, pertanto, nell’esigenza di

evitare l’ulteriore sofferenza e i costi economici determinati da un nuovo processo in relazione a fatti per i quali quella persona sia già stata giudicata.

I presupposti per l’operatività del ne bis in idem convenzionale sono:

  • la sussistenza di un idem factum, da intendersi come i “medesimi fatti materiali sui quali si fondano le due accuse penali, indipendentemente dalla loro eventuale diversa qualificazione giuridica“;
  • la sussistenza di una previa decisione, di condanna o di assoluzione, che riguardi il merito della responsabilità penale dell’imputato e sia divenuta irrevocabile, non essendo più soggetta agli ordinari rimedi impugnatori;
  • la sussistenza di un secondo procedimento o processo di carattere penale per quei medesimi fatti.

Secondo la costante giurisprudenza della Corte Edu, la nozione di “sanzione penale” va ricavata alla luce dei noti criteri Engel. A tale proposito, non è decisiva la qualificazione della sanzione come “penale” da parte dell’ordinamento nazionale, ma la sua natura sostanzialmente “punitiva” da apprezzarsi, appunto, sulla base dei criteri Engel.

La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in diverse occasioni (8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi; 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania; 1 febbraio 2005, Ziliberberg contro Moldavia) ha affermato la natura sostanzialmente penale, ai fini dell’applicazione delle garanzie del giusto processo (di cui all’art. 6 CEDU), di sanzioni pur formalmente qualificate come amministrative nell’ordinamento interno degli Stati, purché sia riscontrata la presenza di almeno uno dei criteri (cosiddetti “criteri Engel”) elaborati dalla stessa giurisprudenza sovranazionale per tale riqualificazione:

  • la norma che commina la sanzione amministrativa deve rivolgersi alla generalità dei consociati e perseguire uno scopo repressivo-punitivo, e non meramente risarcitorio;
  • oppure, la sanzione deve comportare, per l’autore dell’illecito, un significativo sacrificio, anche di natura meramente economica.

Inoltre, secondo la giurisprudenza EDU, l’inizio o la prosecuzione di un secondo procedimento di carattere sostanzialmente punitivo, in relazione a un fatto per il quale una persona sia già stata giudicata in via definitiva nell’ambito di un diverso procedimento di carattere sostanzialmente punitivo, non dà luogo a una violazione del ne bis in idem. se tra i due procedimenti vi sia una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, così che essi rappresentino una risposta coerente e sostanzialmente unitaria al medesimo illecito.

Al fine di verificare se una tale connessione sussista, la Corte EDU ha enunciato i criteri seguenti:

  • se i diversi procedimenti perseguano scopi complementari e pertanto concernano diversi aspetti del comportamento illecito in questione;
  • se la duplicità di procedimenti in conseguenza della stessa condotta sia prevedibile, in astratto e in concreto;
  • se i due procedimenti siano condotti in modo da evitare, nella misura del possibile, ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione delle prove;
  • se siano previsti meccanismi che consentano, nel secondo procedimento, di tenere in considerazione la sanzione eventualmente già inflitta nel primo procedimento, in modo da evitare che l’interessato sia sottoposto a un trattamento sanzionatorio complessivo eccessivamente gravoso.

Alla luce di tali criteri, la Corte costituzionale ha dato atto che l’art. 171-ter L. 633/1941 sul diritto d’autore prevede, ai commi 1 e 2, una vasta gamma di fattispecie delittuose, punite con la reclusione (da sei mesi a tre anni per le ipotesi del comma 1, e da uno a quattro anni per quelle del comma 2) congiunta con la multa da euro 2.582 a euro 15.493; analogamente, l’art. 174-bis della medesima legge dispone che, «ferme le sanzioni penali applicabili, la violazione delle disposizioni previste nella presente sezione» – incluse, dunque, quelle di cui al precedente art. 171-ter – «è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del prezzo di mercato dell’opera o del supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a euro 103,00. Se il prezzo non è facilmente determinabile, la violazione è punita con la sanzione amministrativa da euro 103,00 a euro 1032,00. La sanzione amministrativa si applica nella misura stabilita per ogni violazione e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto».

La Corte ha rilevato come le due disposizioni sanzionino le stesse condotte materiali, sicché, pur prescindendo dell’elemento soggettivo, il loro autore è

sanzionato più volte per un idem factum: concetto, quest’ultimo, da apprezzarsi secondo il criterio riferito al medesimo accadimento storico.

La previsione di due distinte classi di sanzioni – l’una penale, l’altra amministrativa – per le medesime condotte comporta, ovviamente, la prospettiva di più procedimenti sanzionatori che si sviluppano parallelamente o consecutivamente nei confronti del loro autore: l’uno condotto dal pubblico ministero, l’altro dal prefetto, con la conseguenza che, conclusosi uno dei due procedimenti, l’altro ancora aperto – o ancora da iniziarsi – divenga un bis rispetto al procedimento già concluso ai fini della garanzia all’esame.

Nessun dubbio la Corte ha avuto nel qualificare come “punitiva” la natura delle sanzioni amministrative previste dall’art. 174-bis alla luce dei criteri Engel, in quanto la pena è determinata assumendo, come base del calcolo, il doppio del prezzo di mercato dell’opera o del supporto oggetto della violazione, moltiplicato per il numero di esemplari abusivamente duplicati o replicati, in modo da infliggere al trasgressore un sacrificio economico superiore al profitto ricavato dall’illecito.

Ciò rende evidente la funzione accentuatamente dissuasiva della sanzione, come peraltro si desume dai lavori preparatori, in cui si sottolinea come l’obiettivo perseguito dalla novella fosse quello di incrementare il grado di dissuasività delle misure di contrasto» alle violazioni del diritto d’autore, attraverso sanzioni amministrative che appaiono dotate di autonoma deterrenza in quanto rapidamente applicabil, a prescindere dai benefici che si possono ottenere in sede penale.

Ciò chiarito, la Corte ha escluso che i due procedimenti finalizzati all’irrogazione delle sanzioni – penali e amministrative, ma entrambe di natura punitiva – previste rispettivamente dagli artt. 171-ter e 174-bis L. 633/1941 possano ritenersi avvinti da una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, così che essi appaiano come parti di un unico sistema integrato di tutela dei medesimi beni giuridici, insuscettibile di produrre effetti sproporzionati sui diritti fondamentali dell’interessato.

Non solo lo scopo perseguito dal legislatore mediante la sanzione amministrativa è potenziare l’efficacia general-preventiva dei divieti già contenuti nella legge, ma nemmeno è previsto, come ad esempio avviene nella materia tributaria, un sistema di soglie in grado di selezionare le sole condotte che per la loro gravità appaiano meritevoli anche della sanzione penale.

Ancora, il sistema normativo nemmeno prevede alcun meccanismo per evitare duplicazioni nella raccolta e nella valutazione delle prove e per assicurare una ragionevole coordinazione temporale dei procedimenti, né è consentito al giudice penale (o all’autorità amministrativa, in caso di formazione anticipata del giudicato penale) di tenere conto della sanzione già irrogata ai fini della commisurazione della pena, in modo da evitare che una medesima condotta sia punita in modo sproporzionato.

Per questi motivi, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. “nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della legge 633/1941 che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis della medesima legge“.

La declaratoria di incostituzionalità è idonea a evitare tutte le possibili violazioni del ne bis in idem create dalla L. 633/1941, come, ad esempio, nel caso in cui l’autore della violazione sia stato già definitivamente giudicato per uno dei delitti di cui all’art. 171-ter della legge e sia, successivamente, sottoposto a procedimento amministrativo ai sensi dell’art. 174-bis.

Peraltro, la Corte ha auspicato un intervento del legislatore per “rimodulare la disciplina in esame in modo da assicurare un adeguato coordinamento tra le sue previsioni procedimentali e sanzionatorie, nel quadro di un’auspicabile rimeditazione complessiva dei vigenti sistemi di doppio binario sanzionatorio alla luce dei principi enunciati dalla Corte EDU, dalla Corte di giustizia e da questa stessa Corte“.

Per la sentenza clicca qui.