Filmare un omicidio equivale a commetterlo
L’omicidio di Alika Ogorchukwuch, venditore ambulante di 39 anni, avvenuto il 29 luglio a Civitanova Marche, è odioso e raccapricciante anche (e soprattutto) perché è avvenuto sotto lo sguardo glaciale di turisti ciabattanti videomuniti col gelato in mano.
Qualcuno è così disumano da averlo ripreso senza intervenire.
Nel video si sente solo qualche gridolino, qualche richiesta gentile all’omicida di smettere.
A questo siamo ridotti.
Vicende del genere saranno sempre più frequenti in una società inebetita dai social.
E il diritto deve essere all’altezza di questa barbarie 2.0.
Si può condannare per concorso morale in omicidio (artt. 110 e 575 cod. pen.) chi ha fatto il video senza intervenire?
Si. E senza troppi tentennamenti.
La semplice presenza dei passanti sul luogo dell’omicidio integra gli estremi del concorso morale, poiché ha (ragionevolmente) rafforzato il proposito criminale (c.d. partecipazione psichica di rafforzamento) e indotto un maggiore senso di sicurezza nell’omicida, per la visibilità della loro presenza e il loro atteggiamento inerte, interpretabile come tacita promessa di non intervento (del resto, perché intervenire in difesa di un ambulante nigeriano?).
Questi elementi sono sufficienti per incriminare i passanti per concorso morale nell’omicidio.
Sarebbe un grave errore non farlo.
Il diritto penale serve (anche) a ristabilire gerarchie di valori: tra la condivisione di un omicidio sui social e la difesa della vittima dovrebbe (forse?) prevalere quest’ultima.
E se ormai nessuno lo capisce più, serve una sentenza.
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